Ok, è una provocazione. E chiaramente una generalizzazione.
Ma lo noto da molto e la mia opinione è condivisa da altre persone che, con lo straniamento dato dalla distanza, seguono da lontano i battibecchi italiani, soprattutto politici, ma non solo. Come ripete sempre un mio caro ex collega italiano qui in Belgio, “…se gli italiani imparassero a discutere, avrebbero risolto la metà dei loro problemi”.
Ma cosa vuol dire che non sanno comunicare? Non siamo il popolo delle mani che si agitano e girano in mille modi, della lingua che “voi italiani quando parlate, è come se cantaste“, ecc?
Certo, siamo un popolo fortemente comunicativo, e sicuramente – meglio – espressivo; ma l’espressione non necessariamente si preoccupa di creare una dinamica costruttiva con l’altro né di raggiungerlo in maniera da creare “senso” per l’altro. L’espressione parte dal “sé” per costruire il “sé”, ovvero, può essere fine a se stessa.
E limitando la riflessione a quello che raramente vedo in televisione a Ballarò o a Servizio Pubblico (gli unici due programmi che guardo da qui), noto che la maggior parte degli italiani si esprimono. Si mettono letteralmente su un palcoscenico; c’è chi mette in scena veemenza e aggressività; chi passione e tragicità; chi inscena pantomime. Ognuno a suo modo e con gradi di egocentricità e narcisismo differente, dipendentemente dal carattere di ognuno. Come un’artista che crea per sé e per raggiungere sé e quello che ama, e a cui non importa raccogliere necessariamente il consenso altrui.
Vi sono una serie di costanti, tra loro complementari che caratterizzano fortemente per me il modo di discutere italiano (ovviamente elenco quelle che colgo per contrasto rispetto a quello che vedo altrove).
– Due atteggiamenti complementari: quanto poco la gente ascolti; quanto poco la gente rifletta prima di parlare.
– Una ricerca di conflitto e contenzioso che fa sì che tutto venga malinterpretato o sovrainterpretato ai propri fini. E anche quando non vi è contrasto di opinione, perché magari di fondo si sta tendendo allo stesso obiettivo, lo si crea distorcendo faziosamente il significato allo scopo di perpetuare il malinteso e marcare la distanza (e quindi la distinzione) dall’altro.
– Una ricerca di rivalsa (e questo lo vedo soprattutto nei commenti scritti su Internet). Si interviene per criticare e distruggere, e svuotarsi dalle frustrazioni personali. Io li chiamo “i rigurgiti di pancia“. Basta confrontare lo stile dei commenti agli articoli online tra una grande testata italiana e una francese per rendersi conto della differenza di tono ed intenzione, e notare una maggiore costruttività.
– A differenza di altri paesi occidentali, dove la distinzione tra identità professionale e personale è molto più forte, in ogni discussione ci si investe a titolo personale (e quindi, ci si scalda e ci si impermalosisce…), cosa che non aiuta l’analisi e l’argomentazione razionale.
– In definitiva, il processo è sempre più importante della sostanza: si discute per discutere e per dare spazio e affermare la propria presenza, esistenza, e posizione, e non per fare avanzare la discussione, e men che meno per raggiungere un accordo! Il messaggio dell’altro è spesso secondario, e dunque anche l’ascoltare.
– In tutto ciò, ovviamente, i turni di parola restano il più delle volte un vago concetto teorico.
Sarebbe più corretto dire, quindi, che gli italiani non sanno dialogare (dia; lógos) – e che, probabilmente se imparassero, l’Italia potrebbe ingranare direttamente la quarta, liberandosi di catene, melma e peso che la relegano in questo buco nero.
Il dialogo presuppone, oltre che la volontà di raggiungere l’interlocutore col nostro messaggio, la capacità di ascoltarlo, che non vuol dire lasciare che le onde sonore raggiungano i nostri padiglioni auricolari, ma sforzarsi di interpretare il messaggio secondo le intenzioni comunicative dell’altro; di immaginare il significato che l’altro sta dando alle parole nel suo mondo; di leggere gesti e figure di pensiero mettendosi nella pelle dell’interlocutore, senza anteporre i propri significati, pregiudizi ed ego al messaggio altrui.
E se da un lato è vero che non esiste uno scambio al riparo di malintesi e che la comunicazione pura è un ideale, dall’altro anni di vita in contesti internazionali insegnano che un sana disposizione all’ascolto e una comunicazione trasparente e al contempo critica e costruttiva sono possibili.
In contesti multiculturali e internazionali infatti, paradossalmente, quasi ci si capisce di più, perché tutti assumono alla base di poter stare fraintendendo l’altro, a causa di una non sufficiente padronanza della lingua di scambio o per differenza dei riferimenti culturali. Per cui il confronto diventa tutto un alternarsi di frasi come: “non so se ho capito bene quello che intendeva dire…”; “se interpreto bene il suo messaggio…”, ecc. Un’ottima palestra di umiltà, per ridimensionare l’ego e il narcisismo ed educare all’ascolto (ma perché non creano l’Erasmus dei politici?)
Ed è incredibile quanto risulti sempre faticoso invece comunicare in maniera diretta in Italia. La sensazione è di una costante dispersione del flusso comunicativo in volontari malintesi e strumentali travisamenti, con conseguente aggiunta di strati di significato non pertinenti. La reazione più comune che mi viene ascoltando conversazioni o leggendo i commenti degli utenti in internet a post e articoli è: “ma ha ascoltato quello che ha detto?”, “ma l’ha letto l’articolo prima di scrivere?”.
Va da sé che se la televisione in generale, ma anche il giornalismo, non continuasse a incentivare questa disfunzionalità a scopo di audience, forse questa continua incomprensione e circolarità per lo meno comincerebbe a non risultarci più così normale; e forse anche le capacità analitiche di molti migliorerebbero, e non avremmo il 47% di analfabetismo funzionale, come rilevato dall’OCSE…
P.S.: Questa riflessione me l’ha stimolata soprattutto l’articolo di Emanuele Ferragina riguardo questo suo intervento su Servizio Pubblico. Un’autocritica ammirevole per due motivi: uno perché è un auspicio e un riferimento a modelli diversi di comunicazione televisiva – non per niente la persona in questione vive in un contesto culturale molto diverso; due perché considerato il contesto e il tipo di interlocutori a cui ci si raffrontava, farsi un’autocritica oltre ad essere un atto di grande onestà intellettuale e umiltà, è quasi paradossale.
.mi piace, ma limiterei l’analisi ai politici. Da quanto ricordo è stato Berlusconi a inaugurare questo tipo di (non) comunicazione come la descrivi tu (e che è proposta da molti esperti) dove l’importante è vincere sull’avversario non certo comprenderlo. E quindi anche fraintenderlo volontariamente. Ti capita anche con gli amici ? A me no (a meno che non siano berlusconiani :). Aggiungo che per alcuni intellettuali questo cambiamento è un merito, non una colpa.
In politica certo a mio avviso molti berlusconiani si sono distinti in questo stile di non ascolto e illogicità…ma non sono meno brillanti quelli della sinistra che li imitano, o che reggono loro il gioco per contrapposizione…!
Io credo ci siano radici culturali che vanno al di là dell’ottusione di questo stile politico. È una modalità perpetuata da ogni programma di intrattenimento….la dove ahimé la maggior parte degli italiani impara a interagire col prossimo (gulp); oppure guarda la gente come risponde nei blog…non legge, non capisce quello he legge…(riferimento fatto all’analfabetismo funzionale); ma anche per strada…la gente comincia a rispondere prima che hai finito la frase senza capire. Questa è banale arroganza e mancanza di educazione…
Certo i trent’anni di TV di B. ci han dato un bel colpo, e potremmo anche chiudere il cerchio dando sempre la colpa a berlusconi, effettivamente:) Tuttavia secondo me le radici sono più lontane e hanno a che fare con un atteggiamento italiano alla comunicazione che precede di molto lo stile di B…
Cosa intendi che per alcuni intellettuali questo cambiamento è un merito? :-S
E’ un modo di dialogare molto americano, direi la diretta conseguenza dell’indottrinamento che mediaset ci fa da oltre trent’anni.. Dal punto di vista televisivo la comunicazione mascherata da dialogo è ormai una prassi… e funziona da Dio!!! Indubbiamente si riflette anche sul privato cittadino che ormai non analizza più un idea ma si identifica in una fazione e tifa per la stessa senza se e senza ma…. il che va bene quando si parla di calcio, ma su tutto il resto si potrebbe anche discutere ascoltando il prossimo. Non ho grandi esperienze all’estero, ma non direi che “fuori” sia tanto diverso, forse negli ultimi anni noi abbiamo perso la “vergogna”, ma la sostanza secondo me è la stessa.
Bellissimo esempio!!!
Grazie, video bellissimo ed efficace, che credo avessi già visto…
Comunque ci tengo a ribadire come il mio discorso vada oltre la comunicazione mascherata da dialogo (che è comunque una componente importante)…e sia un fatto culturale più esteso… Perché se è vero che gli americani sono grandi comunicatori, quando si tratta di dialogare e lasciarsi parlare, sono ordinati e “fair” (sto pensando ai turni di parola, al cronometraggio del tempo di risposta…).
Ho capito cosa intendi, è sono d’accordo su quasi tutto. L’unica cosa su cui mantengo qualche dubbio è questa “originalità” tutta italiana… secondo me gli americani hanno una facciata morale molto più forte che li protegge da una volgarità tutta italiana (o comunque Berlusconiana!!). Loro sacrificano le persone al sistema, mentre noi sacrifichiamo il sistema per mantenere le persone (in politica, in tv e di conseguenza anche nel lavoro e nella vita di tutti i giorni…). Ma non so se poi, alla fin fine cambi molto!!! Mi viene in mente South park, dove spesso si fa satira proprio su quel tipo non-comunicazione…
Si dice “quando voi parlate, è come se cantaste”. A quanto pare, oltre che a comunicare, noi italiano dobbiamo anche imparare a scrivere correttamente…
Carissimo/a, ha ragione, ci vuole l’imperfetto. Purtroppo dopo tanti anni fuori dall’Italia capita anche questo; ma sicuramente anche lei, parlando tante lingue differenti, potrà capire cosa succede all’orecchio di un espatriato.
Piuttosto, mi per permetta, se di un testo del genere l’unico commento che ha saputo produrre è questo…beh, mi fa un gran favore: non fa che confermare TUTTO quello che ho scritto. Ovvero la voglia di creare conflitto per forza, di criticare e di mettersi in valore schiacciando gli altri, e di giudicare a tutti i costi.
Sì, perché una persona tranquilla avrebbe contattato l’autore per segnalare l’imprecisione, con semplicità e senza polemica, come peraltro mi è capitato tante volte di fare con altri blogger; inoltre, per valutare la capacità di scrittura di qualcuno, avrebbe dimostrato capacità di giudizio e proporzione basandosi anche su altri indicatori (il resto dell’articolo per esempio) ed evidenze – mettendo l’errore in prospettiva…
Si rilegga l’articolo con po’ più di umiltà; anzi si legga anche gli altri se le va, magari mi aiuta a correggere qualche altra imprecisione.