Quando penso al concetto di gestione e percezione dello spazio pubblico la prima cosa che mi viene in mente non sono complicati concetti socio-politologici tipo “governance”, “empowerment”, “partecipazione”, “responsabilità condivisa”, “ownership”, ecc… Sono invece due semplici immagini.
La prima è quella di un vecchietto – con tipico cappello in feltro (stile “Borsalino” per intenderci) e completo di lana, sul marrone, che ripara una panchina o un qualche altro oggetto in luogo pubblico. Ne ho visti più di uno nella mia vita tra Ravenna e Bologna.
La seconda è più personale. Quando ero bambina, a casa di mia nonna, in uno di quei quartieri di case indipendenti spuntate negli anni ’50, vedevo sempre le vecchiette – rigorosamente col fazzoletto in testa – che spazzavano il marciapiede. Alcune più che altro davanti casa loro, altre spingendosi varie case più in là, lungo la via.
Oggi ho beccato mia nonna, 93 anni…
– Nonna, ma spazzi sempre il marciapiede?
– Quando vedo sporco, vado a pulire. Fa parte del tuo cortile. [Ma come fa parte del cortile…mi chiedo :)]
– Ma lo dovrebbe fare lo spazzino, perché lo fai te? [domanda volutamente provocatoria]
– Ma sì, passa anche lo spazzino, ma poi vede che è sempre pulito e allora non fa niente.
– Sì, ma allora, perché lo fai? – Ma perché lo fanno tutti; perché il mio deve essere sporco. Oggi c’erano tutte le foglie del glicine… Poi se uno non ha il tempo non discuto, ma se uno ha tempo…
Due immagini molto semplici, forse troppo, che mettono in scena una certa “conformazione” culturale molto precisa – che poi mi chiedo se sia basata più su un fattore generazionale, o culturalre-regionale. Ma la domanda che continuo a pormi è perché resta così difficile attivare o promuovere a livello sociale modificazioni comportamentali virtuose e di responsabilità sociale, dal momento che i meccanismi di psicologia sociale (in questo caso, per esempio l’emulazione, o la riprovazione sociale) alla base di certi comportamenti sono conosciuti così bene…